LETTERATURA GIUDEO-ITALIANA
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UMBERTO FORTIS
La
letteratura giudeo-italiana dei primi secoli è costituita in prevalenza da
volgarizzamenti da testi biblici, da glossari filosofici e da dizionari
biblici, o da traduzioni delle più diffuse preghiere: si tratta, quasi sempre,
di opere di compilazione, per la maggior parte anonime, frutto della volontà di
adeguamento di testi canonici alle strutture del ‘dialetto’ diffuso nelle varie
sedi comunitarie, soprattutto centro-meridionali: testi che hanno consentito di
rilevare alcuni tratti distintivi appunto del ‘giudeo-italiano’ nel contesto
della lingua volgare, fondamentali dal punto di vista linguistico, ma, con rare
eccezioni, opere non sorrette da vera creatività artistica, né dotate di un
valore, in qualche misura, estetico. All’interno perciò di questo vasto corpus di
documenti e di testimonianze acquistano un valore particolare, tra le altre,
alcune opere, ora anonime, come l’Elegia del 9 di
Av, ora d’autore, come i testi
dialettali di Moshé da Rieti o di Mordekhày Dato, che, per l’impegno che le ha
dettate e per la loro attenzione costruttiva lessicale e retorica, si
distinguono nel contesto giudeo-italiano. Sono testi ‘originali’ che, per la
loro genesi e per la loro natura, meritano di essere letti e analizzati anche
nella loro pur fragile rilevanza letteraria; prose e versi orientati su precise
finalità educative, con l’intento di un vero coinvolgimento emotivo del
destinatario, al quale consegnare un meditato messaggio morale. Si tratta certo
di letteratura ‘minore’, di testi che non vantano significative pretese
estetiche, ma che giustificano comunque una valutazione che lasci in secondo
piano i tratti dialettali per adottare una lettura diversa, che possa mettere
in evidenza, accanto al loro valore storico e documentario, anche le loro
strutture interne, la loro capacità costruttiva, l’importanza dei loro messaggi
e il nobile intento comunicativo di rabbini che vogliono ricordare ai propri
fedeli i valori fondamentali dell’ebraismo, abbandonando la lingua ebraica, pur
usandone i caratteri, per avvalersi proprio di quel dialetto che avrebbe reso
possibile la trasmissione del loro messaggio etico. Cogliere anche questi
aspetti, attraverso l’analisi di alcuni dei brani più significativi, tra i
testi selezionati, consente allora non solo di rilevare gli intenti artistici
degli emittenti, ma anche di vagliare l’impegno sociale che qualifica un
capitolo spesso poco considerato dell’attività culturale degli ebrei della
penisola e di offrire così alcuni materiali per un futura, nuova ‘storia’ della
produzione letteraria degli ebrei in Italia.