SCRITTI EBRAICI
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ALFREDO CARO
Una coscienza ebraicamente inquieta,
storicamente critica, la mia; spesso ricorrente nella nostra storia, anche se
oggi meno presente e diffusa. Una coscienza inquieta, sì, ma anche irrequieta,
cioè agitata e tormentata […]. Sono consapevole della sorte della coscienza e
della persona alla quale appartiene: il rimanere in solitudine perché, con
ostinazione, cerca di “scuotere” gli ebrei italiani dal loro “torpore
culturale”, torpore che, a un osservatore più attento, non riesce a nascondere
il loro illusorio ed evanescente ottimismo: illusione derivante dal non
comprendere la loro condizione storica attuale. La coscienza paga il suo prezzo
(tutto oggi ha soltanto un prezzo). Anche la mia coscienza si intorpidisce,
risultando il mio dire spesso non chiaro, cioè reso meno limpido dall’intreccio
di nodi che, quasi inevitabilmente, lo offuscano. Le mie riflessioni,
interiormente “turbate”, possono essere ritenute socialmente per noi
italiani-ebrei di oggi pericolose: da “ghettizzare”, da lasciare senza luce tagliandone
i fili, come avviene nelle case delle povere famiglie morose. Tempi duri,
difficili per chi vuole far rinascere una sana critica fra noi. Coglierne i
fili, dipanarne gli intricati legami è estremamente faticoso per una sola
coscienza, indebolita. Coscienza isolata e inascoltata dai lettori che, pur nei
suoi limiti, cerca coi suoi articoli (ormai più di un centinaio) di rivolgersi
di proposito quasi esclusivamente ai rapporti interni fra noi; e pochi quelli
pubblicati. Ai molti, con le più diverse motivazioni, non è stato permesso di
vedere la luce. Ma anche quelli pubblicati in un mio libro che li raccoglie,
dal 2010 al 2013, dalla Giuntina, e nelle nostre riviste culturali, sono
rimasti come quelli dal titolo profetico, “senza risonanze”. Nessun lettore
ebreo intellettuale, religioso tradizionalmente o meno, ha risposto.