IL RESTO E' INTERPRETAZIONE
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UGO VOLLI
Una pagina celebre del Talmùd
bavlì (trattato Shabbat, p. 31 a) racconta che «… un giorno un non
ebreo si presentò a Hillel, e gli chiese: “Mi converto all’ebraismo a
condizione che tu mi insegni l’intera Torah mentre sto su un piede solo”. La
risposta fu: “L’intera Torah consiste in questo: non fare agli altri quello che
non vuoi che gli altri facciano a te. Il resto è commento. Va e studia”». Al di
là del significato morale dell’aneddoto, da esso risulta il posto speciale che
il processo di interpretazione ha nella cultura ebraica: tutto ciò che eccede
l’etica dell’altruismo è “commento”. Già il testo della Torah, da sempre al
centro della sua vita spirituale, è fitto di auto-interpretazioni, per lo più
nella forma di para-etimologie di nomi di luoghi e di persone. Il commento
diventa poi del tutto esplicito e prevalente nei testi rabbinici canonici, come
il Talmùd,
i Midrashim,
lo Zohar
ed è la forma caratteristica della produzione culturale ebraica fino ai giorni
nostri. Ma che cosa significa interpretare, soprattutto nell’ambito di una
cultura così consapevole e dedita a questo compito? Quali
sono le regole e i limiti del processo interpretativo? Questo
tema interpella profondamente la disciplina che studia la formazione e la
trasformazione del senso, la semiotica. Ma la semiotica può aiutare a
comprendere più a fondo i meccanismi specifici della razionalità ermeneutica
della cultura ebraica. Questo libro si propone di
obbedire al consiglio di Hillel e di studiare quel grande “resto” dell’ebraismo
che è l’interpretazione. Lo fa applicando la lente della semiotica a testi e
figure specifiche, secondo la logica del commento: i primi versetti della
Torah, l’”autopresentazione” divina all’inizio dell’Esodo, il libro di Ester,
il ruolo degli angeli e dei cherubini, il “martirio”, le regole alimentari, la
preghiera.